Intervista a Massimo Reale. L’attore toscano, interprete eccezionale perché partecipe del processo creativo dei suoi personaggi, si racconta a Teatro.it tra suggestivi ricordi personali e professionali
Massimo Reale, attore di cinema, teatro, televisione, ma anche scrittore, sceneggiatore e regista. Calca le scene fin dall’infanzia e seguire la sua carriera è come tuffarsi, non in un mondo, ma in universo straordinario. Attualmente è in tournée con lo spettacolo Il Penitente (Date tournée) insieme a Luca Barbareschi e toccherà diverse città italiane.
Ai suoi inizi ha ottenuto ruoli grazie anche a fortuite occasioni, ma successivamente ne ottenne uno grazie alla sua cultura storica. Merita che lo racconti.
Sì, spesso sono dovuti al caso, è vero. Quello fu con Gigi Magni. Lui faceva il film La carbonara. Ci mettemmo a parlare, e ci scoprimmo entrambi appassionati di storia. Lui era uno studioso, ne sapeva veramente molto, soprattutto sulla Roma papalina. Così inventò una parte per me. Mi fece fare un principe tedesco, solo per il piacere di avermi nel film.
Nella sua carriera può dire di aver conosciuto sia attori agli inizi che mostri sacri del nostro panorama attoriale. Chi ricorda con affetto?
Mi ha fatto molto piacere l’anno scorso vincere il premio “Renzo Montagnani” per il mio ruolo in Rocco Schiavone perché l’avevo conosciuto e ci ho lavorato. C’è anche un episodio particolare legato a lui: da bambino viveva nel quartiere di Firenze dove abitava la mia nonna e quando le raccontai che avrei fatto la fiction [ndr: Don Fumino] con Montagnani, lei mi rispose: “Ah, ma io mi ricordo di lui bambino, che camminava per strada per mano ad una signora, alta, mora…”. Così, una sera dopo le riprese, a cena gli dissi: “Sa, Renzo…” - all'epoca agli attori anziani si dava del lei - “…la mia nonna mi ha raccontato questa cosa di lei bambino...” e lui: “Ahh.. ringraziala tanto! Che mi ha fatto ricordare…saranno cinquant'anni che non penso alla mia mamma.” Questa cosa poi l’ho citata quando mi hanno dato il premio ed è stato emozionante: ero entrato in contatto con una memoria della sua infanzia.
Ho letto che lei è molto legato alla Sicilia, dove ha lavorato in produzioni totalmente diverse. Come lei stesso ha definito: teatro off l’una e da grandi platee l’altra…
Ho recitato in molti teatri greci, essi rappresentano un grande momento per un attore. La Sicilia poi per me è in particolare Siracusa, dove ho rappresentato Le Trachinie ed Eracle.
La prima produzione che cita è invece I carabinieri di Joppolo, con Ninni Bruschetta, allora regista, poi diventato un grandissimo caratterista. Anche quelli con lui sono stati momenti belli, seppure diversi dal teatro classico e li rammento con grande piacere.
Nel secondo invece c’era una cantante americana ormai quasi italiana…
Sì, Amii Stewart. Di lei ricordo una grande delicatezza, è una persona con cui era veramente piacevole lavorare. Noi facevamo uno strano musical, dove lei cantava ventiquattro canzoni e io una sola, per il resto recitavo. Poi c’era un corpo di ballo. Lei ed io, come buoni amici, stavamo molto insieme perché gli attori conducono una vita completamente diversa da quella dei ballerini, che si allenano praticamente sempre. Lei ha disciplina ferrea e grande volontà ed è una persona con il lato bello degli americani, sempre ottimisti, sempre propositivi. Una magnifica esperienza!
Ha detto che ciò che ama di più della recitazione è “la bellezza del processo creativo che porta ad inventare un personaggio”. Non è cosa da tutti. Lei forse ha un quid in più?
Non so se ho davvero qualcosa in più. Sicuramente dal mio incontro con il teatro, quando avevo circa otto anni, non ho mai pensato di fare altro. Poi sono stato fortunato perché l’ho vissuto attraverso una persona, Dino Parretti, che è stato il mio maestro di recitazione quando ho cominciato. Lui faceva le scenografie, disegnava i costumi, quindi la recitazione era all'interno di un progetto più ampio, creativo nella totalità ed è il modo con cui io continuo a farlo.
E questa cura si vede nei suoi personaggi.
Beh, io poi ho cercato di affinare, di approfondire… ne parlavo con la mia mamma, un paio di mesi fa, quando studiavo la parte che faccio adesso a teatro con Luca Barbareschi. Ero sul divano e le ho detto: “Mamma ti rendi conto che sono 40 anni che sto seduto su questo divano, che ti ripeto le parti, mentre te stiri o cucini...” E lei : “In effetti, ti ho visto crescere, sul quel divano, a studiare le battute...”.
La frase di Stanislavskij: «Non ci sono piccoli ruoli, ci sono solo piccoli attori». Lei ha un modo tutto suo, una mimica che rende speciali le caratterizzazioni dei personaggi.
Gli attori sono bravi artigiani, quando sono bravi. Sono molto contento quando mi dicono che lo sono, davvero! In generale, però, non giova mai elogiarsi. La consapevolezza che ho è di fare il meglio possibile. Ho fatto tanti piccoli ruoli perché il mio è un mestiere e come tale ci devi vivere.
Quindi fai cose che abbiano la dignità di una professionalità, serietà, che ti permettano di mettere insieme il pranzo con la cena. Poi magari dietro ad alcuni piccoli ruoli c’è una storia, dietro altri no, sono casuali, ma serve per vivere e va bene così. Io poi mi considero un attore che fa parte di una tradizione italiana e gli attori italiani hanno fatto sempre tutto. I più grandi che abbiamo avuto provenivano dall’avanspettacolo ed hanno fatto dei film meravigliosi o degli spettacoli teatrali leggendari, proprio per la loro capacità di essere attori in tutte le situazioni. Io questo credo sia una risorsa.
In tournée con Il penitente, è tornato dopo diversi anni a lavorare su un testo di Mamet. Vuole parlarmi di questa produzione e del suo personaggio?
Sì, la prima volta risale a diversi anni fa [ndr: nel 2000 con Valentina Cervi e Luca Zingaretti], ma lavorare con Barbareschi è molto diverso. Lui è la persona che ha portato Mamet in Italia, lo conosce personalmente e ha una visione estremamente approfondita e lucida di come si mette in scena un suo testo. Cosa che, secondo me, fa la differenza. Questa è la storia di uno psichiatra, obbligato a consegnare gli appunti che lui aveva preso durante le sedute di un suo paziente psicolabile, che ha fatto una strage. Nel tentativo di non tradire la privacy del paziente, egli si rivolge al suo amico avvocato di famiglia che cerca di fare una serie di strategie per difenderlo. Poi la storia va avanti ed è una storia “gialla”, per cui non dico di più. Tranne che sta andando bene ed è accolto sempre con grande favore dal pubblico.